Un’esperienza personale: quando un quadro ti attraversa.
C’è un momento, nella vita di chi crea, in cui l’atto artistico smette di essere solo espressione e diventa trasformazione. Non una vetrina, non un esercizio di stile, ma una frattura profonda. Una soglia.
Mi chiedo spesso cosa rende davvero “arte” un’opera. Non basta la tecnica. Non basta nemmeno l’originalità. Quello che cerco, e riconosco, è un gesto creativo che lascia un segno dentro, che modifica la percezione, che apre spazi nuovi — non necessariamente dolorosi — anche se non immediatamente comprensibili.
In quel gesto c’è un’urgenza. Una necessità. È qualcosa che accade prima ancora di pensare all’osservatore, al pubblico, al mercato. È un movimento interiore, spesso fragile, che però ha la forza di cambiare chi lo compie. Ed è da lì, secondo me, che nasce l’arte autentica: non tanto da ciò che mostra, ma da ciò che smuove.
Non parlo solo di grandi capolavori. A volte basta una linea, una parola, un gesto. Ho visto opere umili e silenziose avere un impatto più profondo di mille immagini spettacolari. E non perché “belle”, ma perché sincere.
Un giorno di alcuni anni fa, mi trovavo a Villa Pisani, nella Riviera del Brenta. C’era una mostra di pittori veneti dell’Ottocento. Mi colpì un quadro che ritraeva due donne all’imbrunire, mentre rientravano verso la loro fattoria con una mucca e un carretto al traino. Una scena di vita quotidiana per l’epoca. Eppure io ne rimasi ipnotizzato, non riuscivo a staccarmi da quel dipinto. Provai tutte le sensazioni della fatica, del sudore dopo una giornata nei campi. Sentivo l’odore della campagna e l’umidità dell’imbrunire.
Mi chiesi perché io avessi provato quella emozione e le persone che mi accompagnavano no. La risposta che mi diedi fu semplice: io avevo vissuto quella situazione. Condividevo un’esperienza con l’autore del dipinto, e lui era stato così bravo da riuscire a metterla su tela.
Mi piace pensare all’arte come un’esplorazione: ci si addentra in territori sconosciuti, si rischia di perdersi, si torna forse diversi. E se questo accade davvero — se l’arte ha toccato qualcosa di vivo — allora ha compiuto il suo scopo.
La domanda che pongo a me stesso, ogni volta che creo qualcosa, è questa:
“Quello che sto facendo mi sta cambiando?”
Se la risposta è no, mi fermo.
Se è sì — molto raramente — allora forse sto facendo qualcosa che vale davvero.
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