C’è una convinzione diffusa, quasi un pregiudizio, che l’arte sia roba da intenditori. Che per varcare la soglia di una galleria serva un linguaggio, un codice, una formazione. Ma l’arte, quella vera, nasce per essere vissuta, non spiegata. E troppo spesso dimentichiamo che anche chi non sa “leggerla” può sentirla.
Ogni giorno, persone comuni incrociano immagini, forme, suoni che muovono qualcosa dentro. Spesso non si fermano a pensarci, non sanno nemmeno darle un nome. Ma sentono. Una vetrina illuminata in modo strano, un graffito dietro un cantiere, una musica in un ascensore: piccoli shock estetici che parlano una lingua emotiva, che non ha bisogno di glossari.
In una delle mini mostre de Il Dubbio, un uomo sulla cinquantina si avvicinò a una scultura . Restò un po’ in silenzio . Quando si voltò, disse solo: “Mi ha fatto ricordare un sogno, uno che avevo da bambino. Non so perché.” E se n’è andato. Nessuna analisi. Nessuna spiegazione. Ma qualcosa era accaduto.
Questo è il punto: forse l’arte non richiede interpretazione, ma presenza. Non serve capirla. Basta sentirla.
Quando rimuoviamo il filtro dell’aspettativa, scopriamo che l’arte è ovunque. Ed è per chiunque. L’errore non è non comprendere un’opera. L’errore è pensare che non ci riguarda.
In fondo, ci sono quadri che piangono con chi non ha le parole.
Ci sono sculture che parlano più chiaramente a chi non è abituato a chiedere.
L’arte, a volte, trova chi non la cerca. Ma sempre riconosce chi ha bisogno di lei.
Salve,
Sono un artista, anche io sto maturando l’idea di qualche iniziativa per avvicinare l’arte contemporanea a un pubblico che solitamente ne è escluso non perché non abbia la sensibilità di percepirla (sentirla) ma perché molti attori del sistema la raccontano in maniera eccessivamente complicata. In fondo l’opera è costituita da elementi formali che tutti siamo in grado di percepire, ma ammantarla da un profluvio di parole non solo mon aiuta la causa ma anzi crea distanza.