Una panchina decorata a mosaico. Una vecchia porta scrostata con un colore che resiste. Un manifesto pubblicitario in cui le forme, per un attimo, sembrano dire qualcosa di più. Lì, in quel momento, l’arte ci sfiora. Non chiede attenzione, non pretende spiegazioni. Passa. Ma lascia una traccia.
Il bello è che non serve riconoscerla per sentirne l’effetto. Come una musica che arriva da una finestra aperta e ci ferma un attimo mentre camminiamo. Come un tramonto visto da un semaforo rosso. È in quell’istante che qualcosa si muove.
L’estetica non è un lusso. È una presenza silenziosa che cambia la qualità delle cose. Anche di quelle più comuni.
L’altro giorno una signora si è fermata davanti ad una vetrina. Non è entrata. Ha sorriso e ha detto a chi era con lei: “Quella cosa lì, non so perché, mi ha fatto bene.” Era una scultura. Era arte. Era vita.
Forse non sappiamo dare un nome a tutto ciò che ci tocca. Ma il nostro corpo, la nostra memoria, il nostro sentire riconoscono l’arte anche quando la mente non ha le parole.
Ed è proprio questo il suo potere più discreto. Passarci accanto senza farsi notare. Ma cambiando, dentro, qualcosa.
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