Alla Punta della Dogana, nella luce mutevole della laguna, prende forma la prima grande retrospettiva italiana dedicata a Thomas Schütte, uno degli artisti più radicali e sensibili della nostra epoca.
La mostra, intitolata “Genealogies”, ci immerge in un universo dove scultura, disegno e architettura dialogano senza mai cedere all’ovvio. Con materiali che vanno dalla cera al bronzo, dal vetro alla ceramica, Schütte ci parla dell’umano non come eroe, ma come creatura instabile, confusa, comica e tragica insieme.
Le sue figure — uomini impantanati, facce deformate, spiriti, zombie, regine mitiche e padri sconfitti — mettono in scena una teatralità esistenziale che scuote. I suoi soggetti, spesso monumentali, non celebrano il potere: lo smascherano. “Vater Staat”, simbolo dello Stato impotente, e “Mutter Erde”, madre misteriosa e silenziosa, sono emblematici di una poetica che si interroga su autorità e identità con dolcezza e ironia.
Tra giochi linguistici, maschere, modelli architettonici e acquerelli intimi, Schütte costruisce un diario dell’anima collettiva, fatto di ferite e sogni, perdita e memoria.
Con le sue opere, Schütte non cerca mai la perfezione estetica. Cerca qualcosa di più raro: la verità emotiva.
E la trova, sempre, nell’imperfezione dell’essere umano.
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